Miastenia... diagnosi difficile... timectomia... gravidanza?

Io rifiutai, e comunque questi problemi rientravano regolarmente dopo circa 10 giorni dalla loro comparsa, che diventò sempre meno frequente. Da circa sei mesi ho cominciato ad avvertire problemi alla deglutizione e ad avere reflusso di liquidi dal naso, nonché ad avvertire sintomi di stanchezza quando parlavo di continuo. Il mio lavoro mi porta a farlo! Un eccellente otorino mi disse un mese fa che avevo una gola splendida! Purtroppo non si accorse che il mio velo era bloccato! Fortunatamente dopo 15 giorni ho avuto un abbassamento di palpebra nell'occhio sinistro che ha rivelato la malattia. Tramite Internet sono venuta a conoscenza del C. Besta di Milano e lì mi hanno confermato la diagnosi fattami da un mio amico neurologo. Infatti mi hanno consigliato di fare un ciclo di immunoglobuline che ho appena terminato, e di sottopormi alla timectomia presso l'Ospedale di Bergamo.


Le mie domande sono queste: 1) Come è possibile che ci sia ancora tanta ignoranza intorno a questa malattia? (so che non è facile rispondere...) 2) Se mi sottopongo alla timectomia, che percentuale ho di risolvere il mio problema, visto che la mia forma è quasi limitata alla zona oculare? 3) Per una eventuale gravidanza che rischi potremmo correre io e il bambino?
La ringrazio anticipatamente e soprattutto vorrei chiederle se è a conoscenza di qualche ricerca specifica che possa un giorno alleviare e sconfiggere questa malattia che fino ad un mese fa sconoscevo. Grazie di cuore.

Risposta:


In medicina spesso (e in particolare con malattie rare come la miastenia) è difficile stabilire percentuali esatte per la predizione di un successo terapeutico nel singolo paziente. Dipende dalla situazione del singolo paziente, che comunque non è esattamente analizzabile in termini scientifici in quanto ad es. i parametri 'esatti' come il dosaggio degli anticorpi contro i ricettori dell'acetelcolina non sono correlati con il successo della timectomia. Da quando la timectomia viene effettuata di routine si è accumulata un'esperienza considerevole, in modo da rendere oggi la timectomia una delle modalità terapeutiche più importanti. La timectomia stabilizza l'evoluzione della malattia nella maggioranza dei casi con i successi maggiori nelle persone giovani con un inizio recente dei sintomi. Sono invece scarsi i benefici nelle persone sopra i 60 anni che hanno inoltre un maggiore rischio legato all'operazione. La timectomia è sempre raccomandata in persone altrimenti sane, l'unica eccezione può essere la miastenia oculare quando risponde bene ai farmaci. La timectomia non è mai un intervento d'urgenza, ma può essere effettuata in un momento in cui il paziente sotto terapia farmacologica è libero di sintomi e quando l'intervento è conciliabile con altre esigenze familiari o di lavoro. Nel suo caso non si tratta di una forma puramente oculare (non esistono forme 'quasi oculari' nel ragionamento medico). Inoltre sta pensando alla possibilità di future gravidanze. La gravidanza stessa può aggravare, migliorare o lasciare inalterata i sintomi della malattia, anche qui non ci sono parametri clinici utili per una predizione sicura. È comunque auspicabile iniziare una gravidanza nel miglior stato clinico possibile, soprattutto se questo può essere raggiunto con un dosaggio più basso possibile dei farmaci, in quanto è da considerare l'effetto tossico e malformativo che i farmaci immunosoppressori possono avere per il feto. Mentre il cortisone sembra di basso rischio nella gravidanza, sarebbe meglio (se possibile) evitare l'azatioprina o la ciclosporina (anche se sono descritti molti casi in cui i due farmaci non hanno causato problemi). La timectomia è allora, anche per questo motivo, di prima scelta terapeutica per stabilizzare il decorso della malattia e per poter ridurre numero e dosaggio dei farmaci. Altre possibili conseguenze per il bambino sono una forma neonatale e transitoria di miastenia che si verifica nel 10-20% dei neonati e che è dovuta al passaggio degli anticorpi patologici attraverso la placenta. In questo modo, i sintomi si possono trasferire 'passivamente' dalla madre al bambino: i neonati sono ipotonici e mostrano scarsa tendenza a succhiare durante l'allattamento. Il neonato non è comunque affetto dalla malattia e i sintomi si risolvono spontaneamente entro poche settimane per la degradazione degli anticorpi materni. È molto più rara una forma intrauterina che può comportare deformazioni delle articolazioni del feto e che può essere notata da una riduzione dei movimenti fetali. Con il sospetto di una miastenia intrauterina è raccomandabile effettuare un trattamento di plasmaferesi o la somministrazione di immunoglobuline alla madre. Infine, bisogna considerare che mentre non viene trasmessa la miastenia stessa, viene comunque trasmessa la costituzione genetica materna che include una maggiore suscettibilità a malattie autoimmunitarie e comporta un maggiore rischio (rispetto al rischio della popolazione generale) per il bambino di sviluppare la malattia nel corso della vita. Il rischio assoluto rimane in ogni caso basso e la miastenia, quando è ben controllata, non è considerata un motivo per non avere una o piu gravidanze. L'ultima Sua domanda riguarda il progresso scientifico per combattere definitivamente la malattia. La miastenia rientra nel gruppo delle malattie autoimmunitarie in cui il sistema immunitario sviluppa una sua reazione non solo verso agenti esterni, ma anche contro molecole contenute nei tessuti dell'organismo stesso. Trattandosi di varie malattie tra cui l'artrite reumatoide, il lupus eritematoso e la sclerosi multipla, esistono da anni molte attività di ricerca per scoprire i meccanismi che inducono il sistema immunitario a confondere il 'self' con il 'non-self' (il tessuto proprio con quello non proprio). Il sistema immunitario è molto complesso e variegato nello spettro dei suoi meccanismi e delle sue reazioni, perciò è finora difficile stabilire perché una singola struttura venga aggredita o meno. È ancora più difficile indurre il sistema a non riconoscere più una singola molecola, ma a continuare a riconoscere tutte le altre strutture nocive (azione indispensabile per non correre il rischio di infezioni incontrollabili). Gli approcci più promettenti in questa direzione consistono forse nello sviluppo di un 'vaccino' : iniettando molecole che assomigliano al ricettore dell'acetilcolina si potrebbe desensibilizzare il sistema immunitario e prevenire l'attacco dei recettori. Questa strategia è stata seguita già alcuni anni fa, ma viene ultimamente ripresa in modelli animali sperimentali, sui quali sono stati pubblicati successi concreti che nel prossimo futuro potrebbero aprire la strada ad una sperimentazione clinica
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