Alzheimer: a che punto siamo

Nell'autunno del 2020 c'era molta attesa per la decisione finale della statunitense agenzia del farmaco FDA su un' eventuale approvazione di un anticorpo monoclonale anti-amiloide sviluppato dalla Biogen (aducanumab). Biogen aveva inizialmente fermato i suoi trial EMERGE e ENGAGE per scarso beneficio ma poi a sopresa aveva dichiarato che i suoi dati, se analizzati bene, sarebbero stati invece sufficienti per chiedere l'approvazione del farmaco e portarlo sul mercato.
a cura del Dr. Reinhard Prior - Specialista e Docente di Neurologia

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Sarebbe stato il primo farmaco in assoluto con un approccio causale e un'efficacia dimostrata su migliaia di persone arruolate in due grandi studi di fase 3. Alla fine (novembre 2020) ha prevalso lo scetticismo di un gruppo di esperti e il farmaco non è stato approvato, soprattutto perchè le analisi statistiche sul beneficio cognitivo non erano troppo convincenti con beneficio evidente solo in parte delle persone (mentre sono sempre impressionanti gli effetti su vari biomarker della malattia). Biogen attualmente valuta se e come iniziare un ulteriore studio fase 3 con dosaggi maggiori dell'anticorpo (erano solo i dosaggi alti che avevano indicato un beneficio cognitivo). Attualmente in via di svolgimento sono invece due studi fase 3 di un secondo anticorpo anti-amiloide sviluppato in collaborazione tra Biogen e Esai (BAN2401/lecanemab) e di un anticorpo della Roche somministrato ad alto dosaggio per via sottocutanea (gantenerumab) che comunque ha già fallito in una serie di studi precedenti come hanno fallito anche gli anticorpi della Lilly (solanezumab) e della Pfizer (bevacizumab). Rimane perciò attualmente ancora incerta la situazione delle terapie con anticorpi anti-amiloide, risultati definitivi su lecanemab sono aspettati solo nel 2024. Una certa speranza nasce invece nel gennaio del 2021 dopo i
risultati di un trial di fase 2 della Lilly con il loro anticorpo donanemab che riconosce esclusivamente una forma particolarmente tossica di beta-amiloide.

Sono per ora completamente falliti o fermati tutti i grandi trial clinici con i cosiddetti inibitori della beta-secretasi, un enzima chiave nella produzione della beta-amiloide, in quanto peggioravano lo stato cognitivo e causavano a sopresa maggiore atrofia cerebrale.

La beta-amiloide è una delle due proteine già descritte sotto forma di placche microscopiche da Alois Alzheimer nel 1907 nella sua prima pubblicazione intitolata "Una patologia particolare della corteccia cerebrale". La seconda proteina sempre da lui individuata è la proteina tau, e sono infatti in corso studi che cercano di rimuovere i patologici aggregati di questa proteina dalla corteccia per rallentare o bloccare l'evoluzione della malattia possibilmente già prima che si manifestino i primi sintomi come dimenticanze o difficoltà organizzative anche leggere. Bisogna intervenire infatti molto precocemente: con le moderne tecnologie d'immagine (PET con traccianti che marcano beta-amiloide e tau, inoltre esami del liquor e ultimamente perfino del sangue) si riesce a identificare persone a rischio non ancora affette da sintomi, e sono queste le persone che oggi vengono arruolate in vari grandi studi in corso. Non ci sono solo anticorpi, ma anche piccole molecole studiate per prevenire l'aggregazione delle proteine patologiche, interessante è ad esempio un estratto da alghe (GV-917) prodotto e già approvato in Cina che sarà ora studiato per 5 anni in un grande trial internazionale con più di 2000 persone. In corso in fase 3 è inoltre un trial internazionale con un derivato di un colorante (blu di metilene, LMTM, TauRx0237) che inibisce l'aggregazione patologica della proteina tau. Molto interessante anche se da confermare un
recente studio su 300 persone in cui è stato raggiunto un beneficio tramite plasmaferesi e sostituzione di immunoglobuline. Per chi vuole approfondire le terapie attualmente in corso, trova qui una buona e aggiornata banca dati con la possibilità di seguire le varie strategie adottate e le fasi di sviluppo in cui le varie molecole attualmente si trovano.

In assenza di approcci farmacologici di prevenzione rimangono perciò di prima importanza altre strategie di prevenzione per conservare anche nell'età più avanzata un cervello sano con riserva cognitiva, che così non viene facilmente affetto anche se dovesse esserci un po' di patologia degenerativa a livello corticale. La prevenzione in fondo è semplice:

> essere attivi, soprattutto muoversi, anche con passeggiate un po' veloci per 15 minuti per 5 giorni a settimana (la mia raccomandazione standard per pazienti con deficit leggeri)

> evitare di danneggiare il cervello con ipertensione, glicemia, colesterolo non controllati e fare perciò attenzione a questi fattori di rischio

> evitare ovviamente il fumo, che oltre al cancro al polmone e infarti del miocardio causa arteriosclerosi dei piccoli vasi con ischemie e micro-ischemie, che accumulandosi negli anni bruciano tessuto cerebrale poi poco resistente ad altri processi degenerativi come la malattia di Alzheimer

> evitare il consumo regolare di alcoolici. L'alcool è una molecola neurotossica e il consumo regolare o eccessivo aumenta la probabilità di disturbi cognitivi con l'avanzare dell'età

Per chi ha già deficit cognitivi importanti la situazione rimane purtroppo difficile. Rimangono terapie di supporto e terapie delle frequenti depressioni e agitazioni di persone che hanno perso la loro autonomia e si trovano a disagio. Da più di 20 anni sono sul mercato farmaci come Donepezil (Aricept®), Rivastigmina (Exelon®), Galantamina (Reminyl®) e Memantina (Ebixa®), ma i loro effetti sono modesti e spesso provocano più che altro effetti collaterali. E non sono diretti verso le cause della malattia come lo sono invece i nuovi farmaci attualmente in via di sviluppo.

Scheda informativa sulla malattia di Alzheimer